SUOG
Siamo uomini o giornalisti?
di Gabriele Marconi
Dice: "Dei giornalisti non ti puoi più fidare". Ma l’inquinamento della notizia non è una cosa nuova. Fin dagli Annali dell’antichità c’è sempre stato chi aveva interesse (politico, religioso, economico) a distorcere le notizie raccontate, contando sul fatto che, per essere informati sulle cose che succedono o sono successe, ognuno di noi è costretto a recepirle da qualcuno che afferma di sapere come si sono svolti i fatti. Qualcuno che, volendo e potendo, è in grado di riportare quei fatti in tal modo da servire gli interessi propri o di chi lo ha pagato. Non per niente, uno dei film che hanno fatto la storia del cinema è “Quarto potere”, di Orson Welles, dove per “quarto” - la facoltà del potere economico d’influenzare l’opinione pubblica - s’intende quello che viene dopo i tre poteri canonici dello Stato: legislativo, giudiziario ed esecutivo.
È difficile, insomma, esser sicuri di quel che ci viene raccontato attraverso i mass media
L’unica possibilità di avvicinarci di qualche passettino alla realtà è quella di confrontare le fonti (per chi può) usate dai giornalisti, o quantomeno fare una lettura incrociata delle varie testate che hanno riportato quella tale notizia, per farsi un’idea quanto più possibile vicina al verosimile, se non al vero.
Però non illudetevi, perché spesso non è sufficiente.
Prendiamo la Seconda guerra del Golfo, quella cioè che vide la capitolazione e la morte di Saddam Hussein. In quel caso tutte, dico tutte le notizie pervenute dal fronte di guerra arrivavano dall’ufficio stampa del Pentagono (il dipartimento della Difesa Usa). Tutti i giornalisti del mondo ricevevano le notizie da lì. In pratica, è come se il Settimo Cavalleggeri dell’esercito degli Stati Uniti andasse in battaglia contro i Sioux e tutte le notizie sul perché, sul percome e sull’esito della battaglia ci venissero date dei generali Usa. “Be’, ma… in effetti è precisamente quello che è accaduto anche in quel caso!”. Visto? E infatti tempo dopo (molto tempo dopo…) si è pian pianino arrivati a conoscere i fatti delle guerre contro i nativi americani così com’erano avvenuti, ovvero in maniera totalmente differente da come erano stati raccontati illo tempore. E così è stato qualche tempo dopo la Guerra del Golfo, motivata dagli americani con la necessità di eliminare le “armi di distruzione di massa” di Saddam. Solo molto dopo si è saputo con certezza che quelle armi non erano mai esistite, e addirittura le relazioni che ne indicavano la presenza erano state falsificate dalla Cia. Fu, in buona sostanza, una “guerra mediatica” che preparò il terreno alla guerra convenzionale.
Oggi, però, si dice che nell’era di Internet sia impossibile nascondere la realtà in maniera così macroscopica.
In parte è vero. Tuttavia con l’avvento della Rete l’informazione ha assunto dimensioni tali da rendere ancor più arduo accertare quanto di quello che si legge sia vero o falso, quanto una notizia sia distorta o tendenziosa, quanto un fatto sia ingigantito o minimizzato.
Si diceva che il Web avrebbe distrutto le barriere dell’informazione di parte. La verità è che oggi tutti possono dire quel che vogliono, anche le cose più assurde, e, prima di scoprire quanto c’è di vero in quel che si legge, la notizia viene superata da nuovi titoli e nuove rivelazioni. E un’eventuale smentita passerà spesso sotto silenzio e la “bufala” resterà impressa nella memoria così come l’avevamo letta.
Ricordate il caso di Amina, la blogger conosciuta come “A Gay Girl In Damascus”, eroina mediatica della rivolta siriana, poi rivelatasi in realtà un fake?
Per mesi "Amina" raccontò agli utenti la “verità” della situazione in Siria, presa per oro colato dai giornalisti di tutto il mondo, televisivi e della carta stampata. Finché non si scoprì che in realtà era un quarantenne americano, tale Tom MacMaster, che era riuscito a imbrogliare tutti.
Per rincorrere la velocità della Rete, insomma, anche l’informazione giornalistica ha cominciato a trascurare l’attendibilità delle fonti rispetto alle notizie che pubblica. Il risultato è che, sempre più spesso, oggi dobbiamo fare attenzione non solo ai fatti riportati VOLUTAMENTE distorti, ma anche alle notizie COLPEVOLMENTE riportate anche in buona fede ma senza controllare l’accuratezza della fonte.
Come difendersi, allora?
Cominciando a costruirsi un “filtro critico”: acquistando la consapevolezza, cioè, che dietro la notizia potrebbe SEMPRE nascondersi la menzogna. Mai prendere le news per oro colato. Dotarsi di una diffidenza attiva. Cosa significa “attiva”? Significa che, pur essendo sanamente diffidenti, non penseremo “sono tutte balle”, no, ma andremo a cercare la verità possibile confrontando le diverse fonti, considerando il famoso “cui prodest?” (a chi giova?), fino a farci un’idea quanto più possibile vicina al vero.
Qui, su “ARTIFEX”, cercheremo di affrontare tutti gli aspetti delle tecniche d’inquinamento della notizia, rapportandoli ai “fatti” più conosciuti. Chiediamo anche il vostro contributo: fateci domande, mandateci notizie, segnalateci distorsioni su tutto quello che v’incuriosisce, vi appassiona o vi disgusta nel mondo dell’informazione. Scriveremo insieme un manuale di autodifesa: non ci saranno più lettori disarmati.
Dice: "Dei giornalisti non ti puoi più fidare". Ma l’inquinamento della notizia non è una cosa nuova. Fin dagli Annali dell’antichità c’è sempre stato chi aveva interesse (politico, religioso, economico) a distorcere le notizie raccontate, contando sul fatto che, per essere informati sulle cose che succedono o sono successe, ognuno di noi è costretto a recepirle da qualcuno che afferma di sapere come si sono svolti i fatti. Qualcuno che, volendo e potendo, è in grado di riportare quei fatti in tal modo da servire gli interessi propri o di chi lo ha pagato. Non per niente, uno dei film che hanno fatto la storia del cinema è “Quarto potere”, di Orson Welles, dove per “quarto” - la facoltà del potere economico d’influenzare l’opinione pubblica - s’intende quello che viene dopo i tre poteri canonici dello Stato: legislativo, giudiziario ed esecutivo.
È difficile, insomma, esser sicuri di quel che ci viene raccontato attraverso i mass media
L’unica possibilità di avvicinarci di qualche passettino alla realtà è quella di confrontare le fonti (per chi può) usate dai giornalisti, o quantomeno fare una lettura incrociata delle varie testate che hanno riportato quella tale notizia, per farsi un’idea quanto più possibile vicina al verosimile, se non al vero.
Però non illudetevi, perché spesso non è sufficiente.
Prendiamo la Seconda guerra del Golfo, quella cioè che vide la capitolazione e la morte di Saddam Hussein. In quel caso tutte, dico tutte le notizie pervenute dal fronte di guerra arrivavano dall’ufficio stampa del Pentagono (il dipartimento della Difesa Usa). Tutti i giornalisti del mondo ricevevano le notizie da lì. In pratica, è come se il Settimo Cavalleggeri dell’esercito degli Stati Uniti andasse in battaglia contro i Sioux e tutte le notizie sul perché, sul percome e sull’esito della battaglia ci venissero date dei generali Usa. “Be’, ma… in effetti è precisamente quello che è accaduto anche in quel caso!”. Visto? E infatti tempo dopo (molto tempo dopo…) si è pian pianino arrivati a conoscere i fatti delle guerre contro i nativi americani così com’erano avvenuti, ovvero in maniera totalmente differente da come erano stati raccontati illo tempore. E così è stato qualche tempo dopo la Guerra del Golfo, motivata dagli americani con la necessità di eliminare le “armi di distruzione di massa” di Saddam. Solo molto dopo si è saputo con certezza che quelle armi non erano mai esistite, e addirittura le relazioni che ne indicavano la presenza erano state falsificate dalla Cia. Fu, in buona sostanza, una “guerra mediatica” che preparò il terreno alla guerra convenzionale.
Oggi, però, si dice che nell’era di Internet sia impossibile nascondere la realtà in maniera così macroscopica.
In parte è vero. Tuttavia con l’avvento della Rete l’informazione ha assunto dimensioni tali da rendere ancor più arduo accertare quanto di quello che si legge sia vero o falso, quanto una notizia sia distorta o tendenziosa, quanto un fatto sia ingigantito o minimizzato.
Si diceva che il Web avrebbe distrutto le barriere dell’informazione di parte. La verità è che oggi tutti possono dire quel che vogliono, anche le cose più assurde, e, prima di scoprire quanto c’è di vero in quel che si legge, la notizia viene superata da nuovi titoli e nuove rivelazioni. E un’eventuale smentita passerà spesso sotto silenzio e la “bufala” resterà impressa nella memoria così come l’avevamo letta.
Ricordate il caso di Amina, la blogger conosciuta come “A Gay Girl In Damascus”, eroina mediatica della rivolta siriana, poi rivelatasi in realtà un fake?
Per mesi "Amina" raccontò agli utenti la “verità” della situazione in Siria, presa per oro colato dai giornalisti di tutto il mondo, televisivi e della carta stampata. Finché non si scoprì che in realtà era un quarantenne americano, tale Tom MacMaster, che era riuscito a imbrogliare tutti.
Per rincorrere la velocità della Rete, insomma, anche l’informazione giornalistica ha cominciato a trascurare l’attendibilità delle fonti rispetto alle notizie che pubblica. Il risultato è che, sempre più spesso, oggi dobbiamo fare attenzione non solo ai fatti riportati VOLUTAMENTE distorti, ma anche alle notizie COLPEVOLMENTE riportate anche in buona fede ma senza controllare l’accuratezza della fonte.
Come difendersi, allora?
Cominciando a costruirsi un “filtro critico”: acquistando la consapevolezza, cioè, che dietro la notizia potrebbe SEMPRE nascondersi la menzogna. Mai prendere le news per oro colato. Dotarsi di una diffidenza attiva. Cosa significa “attiva”? Significa che, pur essendo sanamente diffidenti, non penseremo “sono tutte balle”, no, ma andremo a cercare la verità possibile confrontando le diverse fonti, considerando il famoso “cui prodest?” (a chi giova?), fino a farci un’idea quanto più possibile vicina al vero.
Qui, su “ARTIFEX”, cercheremo di affrontare tutti gli aspetti delle tecniche d’inquinamento della notizia, rapportandoli ai “fatti” più conosciuti. Chiediamo anche il vostro contributo: fateci domande, mandateci notizie, segnalateci distorsioni su tutto quello che v’incuriosisce, vi appassiona o vi disgusta nel mondo dell’informazione. Scriveremo insieme un manuale di autodifesa: non ci saranno più lettori disarmati.